Bernardo Bertolucci: Bella giornata! Alta pressione.
Non è una comune battuta per rompere il ghiaccio. E' effettivamente
una di quelle meravigliose giornate dell'inverno newyorkese. Un freddo polare,
il cielo limpido, i marciapiedi innevati. Il sole splendente non basta a scioglere
il ghiaccio tenace che si è formato qui e là. Non mi sembra
sia intenzione di Bertolucci provare a sciogliere né quel ghiaccio
di fuori né quello di un inizio di conversazione, non ce n'è
bisogno. Appare come un uomo sereno la cui anima dinamica l'ha condotto a
cercare e studiare culture diverse da quella di appartenenza geografica, la
Cina, il Buthan... ed è lì che per un attimo sembra che i suoi
occhi, la sua memoria si rivolgano con la considerazione sulla bellezza di
questa giornata in New York. Mi piacerebbe descrivere questo grande regista
cinquantacinquenne di Parma con il suono 'magico' dell''OOOOMMM' che sembra
risuonare dai suoi pensieri, rimbalzare dalle montagne tibetane fino a noi.
Ed ognuno mediti quel che crede opportuno. Ma non posso abusare di questa
mia sensazione, torno alla realtà, quella contingente, quella di un'intervista.
FP: Lei lavora ovunque i suoi interessi la portino...
BB:
Sì, è il bisogno di investigare, cercare di capire
culture diverse dalla nostra, è per questo che mi sono spinto
fino in Cina, nella città proibita e nella loro cultura che ci
sembrava vietata, mi sono spinto tra le montagne del Buthan tra i
monaci tibetani esiliati,
tra i nomadi Tuareg... Certo quello che poi il film riesce a restituire
di
quelle culture pur essendo un mezzo immediato è forse troppo
superficiale, ma è l'indagine, l'interesse che conta, la
curiosità. Ricordo che Antonioni disse della Cina quando fece il
suo documentario: più la conosci e meno la capisci. E' un
effetto strano, ma è così.
FP: Ricorda le lagrime di Antonioni perché quel suo documentario
non era stato approvato dalla Cina?
BB: Le lagrime di Antonioni con il quale sono amico, erano a Cannes
per l'Avventura, lui e le Vitti fuori del palazzo del cinema, per il documentario
era indignazione, del resto lui stesso disse: "Sono all'indice insieme con
Confucio e Beethoven", non è poi così male.
FP: Abita tra Roma e Londra, perché non l'America?
BB:
Amo New York, la sua bellezza, questa specie di multi-culturalismo
straordinario, tutto passa di qua, Los Angeles ci vado spesso, ma
è un po' provinciale, lì si parla di una cosa sola, di
cinema e di un cinema neanche tanto interessante.
FP: Effettivamente
siamo qui per parlare di cinema, ma del suo così importante nel
mondo e del progetto voluto da Vittorio Storaro, da Scorsese, da lei
stesso di restaurare e conservare i film attraverso una nuova
tecnologia, quella del "silver master di separazione" di cui Bob Harris
è lo specialista e ce ne spiega il funzionamento che per il
momento lasciamo agli specialisti.
BB: Cinecittà International ha il merito di aver voluto e
compiuto il restauro dei miei film attraverso quella nuova tecnologia che
deve essere applicata a tutta la cinematografia. Credo e propongo che una
parte del budget di ogni film dovrebbe essere destinato per legge alla realizzazione
di una copia in silver master di separazione che permetterà sempre
in futuro di rimetere insieme i tre colori fondamentali (il rosso il blu
e il verde) delle tre copie in bianco e nero, risultato della separazione
appunto, per riottenere il film così come è stato girato. Proprio
perché il cinema è l'arte che più rappresenta questo
secolo ed è giusto tentare di conservarla. Ho avuto la fortuna di
veder restaurati i miei film che sono proiettati al Lincoln Center in collaborazione
con "The Film Society" di Martin Scorsese presieduta da Raffaele Donato.
FP: Questo per i colori.
BB: Così come si trasferiscono i colori su un supporto indistrutttibile
come l'argento, si deve anche trasferire il sonoro su di un supporto in
poliesere che è plastica ed è indistruttibile come l'argento...
Gli sfugge un risolino pensando alla plastica.
FP: L'arte quindi non sarà più quella della poetessa
futurista interpretata da Dominique Sanda in "Novecento" che buttava le sue
creazioni?
BB: E' curioso che tu abbia ricordato quella scena. All'inizio ero
un po' dubbioso. Avendo fatto "Il Piccolo Budda", essendo venuto a contatto
con quella cultura buddista che continuamente parla di impermanenza, quella
loro arte dei "Sand Mandala", creazioni di sabbia che necessitano una cura,
una pazienza direi feroce e che poi in un colpo di vento scompaiono, pensavo
che i film fossero per la loro deteriorabilità un po' come i Mandala
di sabbia e invece stiamo cercando di farli durare; è molto appassionante
come idea. Anche nel mio ultimo film "Stealing Beauty" la protagonista interpretata
da Liv Tyler, scrive delle poesie che continuamente brucia, strappa o butta
al vento...
FP: Strano, ritorna a distanza di tanti anni la stessa immagine,
il desiderio di bruciare la poesia di buttare l'arte.
BB: Sotto sotto ho sempre considerato i miei film come dei "crimini
segreti", forse è per questo che non riesco o non voglio rivedere
i miei film, anche perché forse mi viene voglia di rimetterci le mani,
di correggerli... Ma questo è molto intimo, è molto personale,
i miei "crimini" non interessano il pubblico, quello che paga il biglietto
al cinema. Poesia ne ho scritta e pubblicata fino a ventuno anni, poi mai
più.
FP: Come mai è tornato a girare in Italia, E' nata prima la
storia che ha poi ambientato lì o l'esigenza di girare in Italia?
BB: Un pochino insieme. Erano dieci anni che non giravo
più in Italia, me ne ero andato perché gli anni ottanta
mi apparivano orribili e non solo in Italia, ma un po' dappertutto. Me
ne ero andato il più possibile lontano da quell'odore di
curruzione che c'era. Cina, Sahara, Buthan, Nephal ecc. Gli ultimi
tempi tornando, mi sembrava si fosse innescato un processo di
cambiamento molto interessante, così ho deciso di tornare a
girare in Italia, ma non è un film sull'Italia, è un film
su una ragazzina americana, ma potrebbe essere francese, inglese... una
ragazzina dei nostri tempi che arriva in Toscana per una vacanza di una
settimana e riparte donna. Il Chianti, ma anche le "crete senesi" il
background della pittura senese. In questo film la differenza con
alcuni precedenti è
orchestrale, è come se invece di suonare una sinfonia, suonassi
musica
da camera. Invece di stare sullo spettacolo sono un po' più
vicino
ai personaggi, è come se questo film fosse scritto più in
poesia
che in prosa. In Toscana perché non volevo affrontare
direttamente la realtà italiana che confesso: non capisco.
FP: La realtà italiana?
BB: Sono convinto che alla macchina da presa non si può mentire.
Me ne ero andato perché la mia macchina non poteva essere ispirata
da quella realtà. Chiunque io abbia davanti alla macchina da presa,
Marlon Brando, John Lone o Liv Tyler sento sempre che sto raccontando una
storia, ma attraverso gli strumenti del cinema verità mi spingo molto
dentro queste persone che sono davanti alla macchina da presa. Vorrei fare
l'ultima parte di "900", questa seconda parte del secolo dal '45 in poi. Ci
penso da tre o quattro anni, ma non riesco ancora a materializzare la storia
perché questa realtà è talmente sfuggente. Il cinema
dipende enormemente dal contesto sociale in cui nasce. Il grande cinema italiano
uscito dal '45 in poi era un cinema che rifletteva le grandi tensioni morali.
La nostra realtà Italiana che cinema può esprimere? Ogni volta
che c'è un film riuscito, è un caso miracoloso, determinato
dalla volontà implacabile di un autore, per esempio Gianni Amelio e
il suo "Lamerica"... Tutto il cinema europeo, non solo quello italiano, è
agonizzante e minacciato dallo strapotere hollywoodiano. Se non fossero finanziati
non ci sarebbero più concerti, anche il cinema ha bisogno di essere
protetto. Le cose più interessanti del cinema di questo paese non
vengono da Hollywood, ma dal cinema indipendente, Tarantino, Lynch e Scorsese,
il più grande regista americano di oggi.
FP: Ricorda quella rassegna durante i primi anni ottanta, per la
quale nonostante fosse ancora vietato in Italia, come in una proiezione privata
a Roma si proiettò "L'Ultimo Tango a Parigi"?
BB: "Ladri di Cinema", era una rassegna di autori che confessavano
a chi e dove avevano rubato scene...
FP: Gianni Amelio ha appena confessato di aver rubato a Rossellini
la sequenza dei bambini che rubano le scarpe all'uomo addormentato, lei
ha rubato qualcosa a qualcuno?
BB: Ho fatto man bassa di Renoir, di Ophuls, anche di film che uno
non sospetterebbe mai, anche da "B" movie. Uno va al cinema e magari una scena
è rimasta nel tuo inconscio...
FP: La psicanalisi presta molta attenzione ai suoi film.
BB: La psicanalisi ha accompagnato per molto tempo la mia vita, ha
avuto molto peso nella mia vita.
FP: E' ancora il cinema l'arte più vicina all'onirico, oggi
la "realtà virtuale" gli compete lo spazio?
BB: Avete mai avuto esperienze di quel tipo?
FP: Non attraverso tecnologie.
BB: Appunto. Credo sia ancora il cinema l' arte più vicina
al sogno. Io sono onnivoro e nel mio cinema c'è molta musica e molta
architettura, per esempio alcuni miei movimenti di macchina disegnano, sono
delle architetture astratte che non sono visibili, ma sono architetture. Sto
un po' più lontano dalla letteratura.
FP: La violenza nel cinema?
BB: C'è una sequenza di "Novecento" in cui Donald Sutherland
uccide un bambino. Pur essendo contrario alla censura non vorrei che quella
scena fosse vista in televisione, da un pubblico di bambini.
FP:
Non sarebbe meglio insegnare ai bambini la differenza tra realtà
e finzione? Li aiuterebbe anche a destreggiarsi nella vita.
BB: Certo. Certo. Due anni fa, durante una preview del "Piccolo Budda"
nel New Jersey di fronte ad una platea di bambini, una cosa che mi ha molto
colpito è stata che quei bambini avevano qualcosa che io da bambino
non conoscevo, la paura della morte. Da bambini non si pensa alla morte, persino
se c'è una persona morta in casa si riesce a riassorbire... Oggi,
c'è una tale presenza di morte nelle news, anche di bambini morti,
i bambini vedono altri bambini morti... che quell' idea della reincarnazione,
ai bambini, piaceva moltissimo. Questo fatto che si rinasce, era un modo
di esorcizzare la paura della morte. Il cinema che potrebbe essere la memoria
di questo secolo, se non facciamo qualcosa, sparisce.
Grazie.
Federico Pacifici
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