Queste mie considerazioni potrebbero interrompersi subito dopo aver consigliato
la lettura di tre libri:
- "Respect for acting" by Uta Hagen with Haskel Frankel, 1973, consigliato
da Penn stesso come fondamentale.
- "Acting, the first six lessons", by Boleslavsky, 1933, considerato
da Harvey Keitel la sua bibbia.
- "Strasberg at the actors studio" recorded sections,1966, fondamentale
per tutti.
A questi tre libri in inglese, tutti rintracciabili presso Amazon,
via internet, si possono naturalmente aggiungere tutti i libri sull'argomento
della recitazione e sul teatro come "Il lavoro dell'attore" di Stanislavskij,
da cui e con il quale Strasberg ha elaborato il suo "Metodo" a mio avviso
molto pragmatico così come lo è gran parte della cultura
americana (in America il "Metodo" è piuttosto diffuso ed effettivamente
gli attori americani sono mediamente molto bravi, assicurano mediamente
un livello molto accettabile, ma anche i registi conoscono il "Metodo",
quindi insieme parlano la stessa lingua teatrale e cinematografica. Non
si può non constatare che gli inglesi hanno come da noi ampi divari,
attori bravissimi, eccezionali, ma anche pessimi. In Inghilterra il "Metodo"
sembra non essere così diffuso, ma gli attori di teatro lavorano,
lavorano e lavorano tantissimo e quella pratica li seleziona e li rende
bravissimi, tra i migliori del mondo. Sebbene si possa dire che i grandi
attori siano tutti simili forse, o almeno omologhi, fra di loro si intendano
e diano risultati straordinari, si deve anche notare che le lingue teatrali
sono tante e diversissime a seconda delle scuole e delle personalità
teatrali capaci di infondere nei collaboratori il proprio gusto e la propria
ricerca. Anche personalità come Eimuntas Nekrosius o Thomas Ostermeier,
per citare due delle più interessanti personalità teatrali
che si siano potute vedere recentemente a Roma, i quali non mi sembra abbiano
molto a che fare con il "Metodo" esprimono immense potenzialità
con gli attori del proprio gruppo. E ce ne sarebbero molti altri anche
in Italia, tanti, che per spazio, per correttezza e per non offendere gli
eventuali esclusi per dimenticanza, qui non cito),I ma anche "Il teatro
e il suo doppio" di Artaud, i libri di Peter Brook, i saggi su Luca Ronconi,
quelli su Carmelo Bene, su Grotowski, su Barba, ma anche "Teoria del dramma
moderno" di Szondi, "Paradosso dell'attore" di Diderot, il "Wilhelm Meister"
di Goethe e mille, forse milioni di altri libri, tutti utilissimi per avere
una visione più completa sull'argomento: recitazione, attori, la
costruzione del personaggio, il teatro, rapporto tra attore e regista,
tra attore e autore ecc.
Arthur Penn celeberrimo regista americano di capolavori cinematografici come Furia selvaggia (Billy the Kid) 1958, Anna dei Miracoli '62, Mickey One '65, La caccia '66, Gangster story (Bonnie and Clyde) '67, Alice's Restaurant '69, Piccolo grande uomo '70, Bersaglio di notte '75, Missouri '76, Gli amici di Giorgia '81, Target-Scuola omicidi '85, Omicidio allo specchio '87, Con la morte non si scherza '89, Ritratti '93, è anche attivissimo in teatro dove ha realizzato più di diciotto regie. E' attualmente direttore dell'Actors'Studio, ha fondato da due anni l'Actors'Studio Free Theatre a New York, dove per essere liberi di fare quel che preferiscono nessuno è pagato e gli spettatori non pagano. Anche il seminario di cui qui tratterò qualche ricordo, l'ha fatto gratis. Penn è nato a Filadelfia nel 1922. Si stabilisce a New York, poi nel New Hampshire nel '45 prende lezioni di recitazione, recita nei teatri di quartiere e alla radio. Nel '46 si diploma in recitazione al Black Mountain College. Nel 1950 segue corsi di pittura a Perugia. Nel 1951 a New York comincia a lavorare per le grandi reti televisive americane. La sua indipendenza di pensiero e la sua continua ricerca espressiva, la sua lunga carriera ne fanno uno dei registi più importanti del nostro secolo. (fonti: la pubblicazione del Teatro di Roma a lui dedicata e il Dizionario dei film di Paolo Mereghetti)
I seguenti appunti riguardano solo alcune mie impressioni riguardo quel che ho visto e fatto durante i sei incontri pomeridiani con Arthur Penn, sono quindi parziali, non obiettivi e personalissimi.
Annunciato presso il teatro di Roma, il seminario di Arthur Penn dal
titolo "The work", 25 fortunatissimi attori, tra i quali io stesso che
scrivo, sono stati selezionati sulla base dei curriculum e della conoscenza
più o meno buona della lingua inglese da Gianni Amelio, Caterina
D'Amico e da Mario Martone che con il Teatro che dirige promuove una straordinaria
campagna di avvicinamento dei professionisti italiani alle più diverse
esperienze artistiche di rilevanza internazionale, iniziativa mai abbastanza
lodata. Sono stati selezionati anche un folto gruppo di allievi o ex allievi
di recitazione e regia della Scuola Nazionale di Cinema (ex CSC) come spettatori
già avviati alla professione.
Alla domanda: 'di fronte a che cosa ci saremmo trovati', ha risposto
in piccolissima parte l'informazione ricevuta da tutti gli attori insieme
alla notizia di essere stati selezionati, di preparare due pezzi di teatro
uno in inglese ed uno in italiano della durata di venti minuti il primo
ed una decina il secondo.
Paura è poco, panico è termine più appropriato. Non provavo un così grande buco nello stomaco dalle mie prime esperienze teatrali. Presentare un pezzo di teatro davanti ad un così grande regista, un pezzo a mia scelta ed in inglese, lingua che parlo talvolta bene e altra male secondo l'ansia che mi prende nel momento dato, mi terrorizzava. Soprattutto un'altra lingua e quindi tutta la difficoltà di far passare la mia recitazione non attraverso il dominio delle parole e della lingua stessa, ma attraverso un "sentire reale, vero". Impedito nella possibilità di modulare parole, lingua, significati, nuance, ritmo... il buco nello stomaco si allargava.
L'unica cosa che effettivamente tutti capivamo è che ci saremmo trovati di fronte al "Metodo" quello ampiamente elaborato da Strasberg e sempre discusso e continuamente rielaborato presso "l'Actors' Studio" di cui Penn è direttore e che per chiarezza dobbiamo specificare, non è una scuola, ma esattamente uno studio, un'associazione di attori e registi, alla quale si accede per presentazione ed audizione, dove si discutono, si elaborano, si provano le tecniche della recitazione che sono patrimonio di tanti attori che del "Metodo" hanno fatto la propria guida ed il proprio sostegno, la propria esperienza, la propria carriera, la fonte inesauribile di consigli per migliorarsi nella propria arte, la recitazione, i cui strumenti sono solo il proprio corpo ed il proprio "sentire". Lo "studio" è anche e soprattutto il luogo dove attori professionisti si mettono in discussione e ricevono consigli o anche solo ipotesi, da altri attori professionisti che a loro volta si mettono in discussione. Un'associazione in cui il livello di mutuo soccorso (artistico) è altissimo e procede sempre indissolubilmente legato al rispetto degli uni per gli altri.
A dire il vero una breve nota sul senso degli incontri era stata pubblicata su un libretto dedicato ad Arthur Penn, ma che io ho trovato solo a seminario iniziato.
Detto questo, continuavamo a non sapere di fronte a che cosa ci saremmo
trovati, io meno di chiunque altro perché assolutamente un principiante
rispetto al "Metodo", del quale avevo ovviamente letto e sentito e discusso,
ma che non avevo mai sperimentato con tutti quegli elementi fondamentali
che creano tra i praticanti un linguaggio comune attraverso il quale comunicare
e collaborare.
Oltre all'inglese anche questa nuova lingua da apprendere quanto più
possibilmente in fretta ed in modo sperimentale. Paura. Questa l'unica
devastante sensazione. Bene! ne ho proprio bisogno, ora nell'esercizio
stanco della professione che si dipana tra frettolosità ed incompetenza
sempre più dilaganti. Bene, ne ho proprio bisogno! sono le uniche
parole di auto conforto.
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La scelta:
Cosa portare come pezzi di teatro?
La mia partner è più esperta del "Metodo", ha frequentato diversi corsi quindi mi informa su molti elementi che io proprio non conosco, ma dice di non aver alcuna esperienza di teatro che non ha mai praticato.
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I pomeriggio, dalle 15 alle 21.
La paura si fa terrore. Non sono preparato &neacute sul monologo
&neacute sul dialogo, almeno non sono preparato come lo sarei se li
avessi studiati in italiano. L'idea di preparare un pezzo nella mia lingua
è stata abbandonata da me come da tutti gli altri partecipanti al
corso ad eccezione di uno che non parla inglese, per focalizzare tutta
l'attenzione sul pezzo nell'altra lingua. Ciò è consolatorio,
ma non basta.
Appuntamento alle tre alla Sala Uno Teatro. Fin dalle due siamo quasi
tutti lì fuori, tremanti ed emozionati come bambini al primo giorno
di scuola elementare.
Arthur Penn entra.
Devo descriverlo? Un uomo piccolo di statura, ma dal fascino immenso,
cortesia sensibilità ed esperienza sprizzano da ogni dove. Ciò
riscalda l'anima, ma la paura non passa.
Introduce il seminario: lavorerà con noi così come fa
con i suoi attori ed all'Actors' Studio, sui pezzi che noi abbiamo preparato,
il suo ruolo sarà di "Moderatore". I più tremano. Alcuni
temerari si offrono volontari.
Tutti siamo terrorizzati dalla presenza di spettatori che dovrebbero
anch'essi essere del mestiere, ma ci sembrano spettatori e basta, tutt'al
più guardoni.
Il Moderatore spiega subito che non si tratta e non si tratterà
di esibizioni, di spettacoli, di dimostrazioni di bravura, ma di procedere
ad affrontare il nostro lavoro secondo la metodologia da lui affinata.
Lui emana nell'aria molta tranquillità e disponibilità,
niente di ciò che ho visto ed anche brevissimamente sperimentato
in altre occasioni: tensione e fermenti mistici, pianti e psicoanalisi
di gruppo, cose che aborro in genere figuriamoci in teatro. La psicoanalisi,
solo nei luoghi deputati, mi piace molto e l'ho frequentata un po'. I fermenti
mistici invece, anche se relegati nelle sole chiese di qualunque genere
esse siano, li evito, non sono per me, per qualcuno il teatro è
una chiesa, per me è luogo ed attività eminentemente profani
e desidero lo resti. Le tensioni come vedremo in seguito sono la mia specialità.
Le esplosioni di pianto (come di riso) appartengono al mio privato fanno
parte dei miei strumenti di lavoro non ho quindi preconcetti.
Comunque qui l'atmosfera è serena, si respira una grande intensità
d'interesse.
Penn discute con noi con la platea e con gli attori in prova, gli elementi
principali ai quali dobbiamo fare attenzione nel nostro lavoro: circostanze
ed azioni date dalle scene in esame.
Grossolanamente significano:
Circostanze: tutto ciò che fa di quella scena, quella
scena e non un'altra.
Azioni: ciò che il personaggio compie
nella scena data (non necessariamente fisicamente), da dove viene, dove
va e perché. Per definire un'azione è rigorosamente vietato
usare un aggettivo, ma solo verbi, da ciò si desume perché
si chiamino azioni. In Italia le chiameremmo "intenzioni" o motivazioni
dei personaggi.
Dalle labbra del Moderatore sgorgano parole semplici e concetti chiari, immediatamente messi in pratica danno risultati che emozionano: scene timide e "maldestramente" recitate acquistano improvvisamente fascino e tensione artistica mirata ad "esprimere", ma sarebbe meglio dire provare, sperimentare, "sentire" sulla propria pelle, sentimenti reali, qui ed ora. Impressionante!
~~~
Alcuni dubbi mi accompagneranno per tutta la durata degli incontri:
Come si può riprodurre in palcoscenico quel sentimento sincero
e reale sperimentato nello studio? Lo spettatore prova quello che prova
l'attore o ciò che il bravo attore è in grado di fargli provare?
L'attore professionista deve sottoporsi tutte le sere a quell'incredibile
stress psicologico?
Arriveranno direttamente o indirettamente le risposte del Maestro.
~~~
Prima parola magica "l'ostacolo"
. Ci si deve sempre dare degli "ostacoli", perché l'azione possa
essere mirata e precisa. I compiti che ci si dà devono essere arricchiti
da almeno un ostacolo.
Amleto, per esempio: Certo per una tragedia, rivelare all'inizio il
delitto ed i colpevoli, dovrebbe portare immediatamente alla fine, invece
seguono cinque lunghi atti durante i quali la personalità problematica
di Amleto gli impone quanti più ostacoli possibile. All'actors'
studio, dice Penn, dicono spesso per spiegare l'ostacolo che se Macbeth
fosse nelle condizioni di Amleto, il tutto durerebbe giusto il tempo di
uno scarno atto unico. Anche Macbeth ha i suoi ostacoli di natura tutta
diversa, ma questo non è l'argomento del giorno.
Darsi un ostacolo aiuta la freschezza (to make it real) dello sforzo
di superarlo.
Altra cosa è quella di darsi un compito quotidiano sempre diverso,
durante i lunghi mesi di repliche di uno stesso spettacolo, per tenerlo
fresco e vivo. Ostacolo e compito sono due cose molto diverse che coincidono
un poco nello scopo e nei modi.
Dalle prove coraggiosissime di alcuni attori emergono elementi e difficoltà
comuni: la poca o appena sufficiente chiarezza del compito che si sono
attribuiti nell'affrontare l'esercizio, l'assenza o la poca chiarezza dell'ostacolo,
la poca chiarezza delle circostanze e delle azioni della scena e dei personaggi.
Per affrontare e superare questi problemi Penn invita alcuni attori a ripetere la scena senza parlare, lasciando che il corpo "senta" quello che precedentemente si delegava solo alle parole. Non si tratta di un esercizio di mimo, ma di liberare la capacità del corpo di "sentire". Ed effettivamente ciò accade.
Alcuni attori anche molto valenti e coraggiosi, forse anche proprio
per queste loro intime qualità, dopo l'esercizio scoppiano in lacrime.
Credo ci siano almeno due motivi tra i tanti:
1) L'esaurimento della tensione per la prova fatta.
2) il raggiungimento tardivo ma importantissimo del livello
di quel "sentire" "realmente" che accompagnerà tutto il corso.
Bastano poche parole di Penn, ben mirate, a dimostrare a tutti come
la realtà della vita e "il sentimento reale", nonostante gli sforzi,
fossero spesso rimasti fuori dall'esercizio, o fossero stati solo avvicinati.
Gli altri allievi invitati a parlare, ad esprimere la propria opinione ed i propri consigli a quelli che si sono sottoposti alla prova esprimono punti di vista personali anche molto interessanti.
Scopriamo (a me lo spiega la mia partner), per un intervento male esposto per via della lingua, che è vietato usare le 'categorie' molto in uso qui da noi, del "mi piace, non mi piace" (per altro l'osservazione male esposta era, a mio avviso, giusta e pertinente: aveva osservato, l'incauta attrice seduta tra il pubblico, che la tensione dell'attore era limitata alla sola faccia e parola, ma che il corpo era altrove). Sempre si deve lodare quanto si è visto e considerarlo comunque un punto di partenza per migliorarsi. Si può e si deve analizzare quanto si è visto e consigliare come procedere per migliorarsi.
Appare ai più semplicemente straordinario l'esercizio di un attore che poi viene molto lodato e che del pezzo presentato conosce il titolo dell'opera da cui l'ha tratto, ma poi non risponde a nessuna delle domande sulle circostanze, azioni ecc. dice di non averci pensato. Penn conclude: qualche volta accade che si verifichi la "magia" inspiegabile del Teatro.
Per una scena piuttosto interessante (come tutte le altre) di due attori piuttosto avvezzi al "Metodo", la discussione verte anche sull'importanza di farsi sentire dai presenti e non tenere un volume di voce esclusivamente privato. Ciò mi fa supporre che ci sia da parte di Penn anche una certa attenzione al fatto che sebbene si sia in una fase di studio è pur sempre uno studio indirizzato verso il teatro, che tenga conto degli spettatori.
Anche questa tessera mi sarà più chiara (sebbene non completamente) in seguito e riguarderà la capacità di essere, sentirsi soli, in pubblico, soli, ma per il pubblico, che se no uno se ne starebbe a casa.
~~~
I due giorni che seguono, la mia partner ed io continuiamo a studiare
insieme nella casa dove abito che la mia compagna lascia scientemente libera
per noi, ma lei è un'artista vera e capisce benissimo il bisogno
di solitudine e silenzio e rispetto nel tempo della ricerca e studio. Proviamo
alcuni esercizi per analizzare il testo dicendocelo, leggendocelo, studiandolo
a memoria, cercando di spiegarcelo, ma questa ultima fase non sembra essere
prevista dal "Metodo", mi sembra strano, ma mi adeguo. Emergono le prime
difficoltà: cosa fare, dove sederci come e dove indirizzare le battute
ed il loro senso. Ci scopriamo già molto diversi e abbastanza incompatibili.
Io scelgo di assecondare la mia partner in tutte le sue esigenze sia "artistiche"
che "alimentari" che vanno dal farmi preparare numerosi tè che poi
non beve, al preparare degli spaghetti che poi lascia, al fare degli esercizi
di memoria con oggetti che considero fastidiosi e noiosi, ma utili e che
comunque senza sapere che fossero esercizi del metodo ho sempre fatto,
come quello di dirsi le battute velocissimi senza recitarle mentre con
le mani si svolge una qualche attività di destrezza, spesso facendo
dei nodi su di una corda (è così che ho imparato tutti i
nodi da marinaio oltre ai testi dei miei passati spettacoli, almeno per
alcune occasioni). Comincio ad esprimere il mio disappunto perché
tra lei e me non sgorga una goccia di niente, nemmeno per una frazione
di secondo. Addirittura la prima lettura è stata la migliore, forse
perché tutti e due entusiasti di cominciare, ma non riusciamo a
percorrere neanche un centimetro in avanti nonostante gli sforzi. Lei saggia,
ma in quel momento non lo capisco, mi invita a mantenere la calma e ad
essere positivo nei confronti di ciò che stiamo affrontando. Io
mi sforzo, dentro di me comincio a scalpitare. Mi ero riproposto di affidarmi
completamente alle cure di un attore o attrice più esperti di me
anche del metodo ed invece so che sto cercando una scintilla di comunicazione
tra me e la mia partner che non scocca. Cosa fareste se di una intera scatola
di fiammiferi non riusciste ad accenderne uno? se di un intero accendino
consumaste tutto il gas senza riuscire a far scattare la scintilla dalla
pietruzza focaia? Smettereste di fumare, forse! Comincio a pensarlo anche
di me, sono preoccupatissimo. Adotto delle tecniche che conosco, che non
amo assolutamente, ma che credo di aver orecchiato dal "Metodo": cerco
riferimenti concreti della scena in esame con la nostra vita privata e
personale. Cerco, tento, di lusingare la mia partner dicendole che mi è
sempre piaciuta, che mi è sempre sembrata bellissima, che ipoteticamente
avremmo potuto essere amanti, almeno per quanto mi riguarda, come i nostri
due personaggi.... Capisco che non c'è nulla di lusinghiero nel
piacere a me. Così deve essere stato, perché finite le parole,
ricominciando a leggere o a provare eravamo di nuovo fermi al punto di
partenza, forse anche un po' indietro. Forse io stesso non ero capace di
credere alle parole che le avevo detto, cercavo di sopperire con la recitazione,
ma anche questa falliva. Non riuscivo a trovare un appiglio. C'era l'appiglio.
Era lì davanti a me ma io non lo vedevo. La collera montava dentro
di me, nulla succedeva.
Paura infernale.
Unica consolazione, il giorno della prova si sarebbe trattato di un
esercizio e non di uno spettacolo, sicuramente Penn ci avrebbe aiutato.
~~~
II pomeriggio. Sappiamo che prima o poi toccherà a noi.
Io spero di fare prima anche il mio mono-logo di Astrov, ma Penn preferisce
i dialoghi perché permettono molto più lavoro e determinano
un necessario contatto tra i due attori.
Molti prima di noi compiono il loro esercizio.
Si rinnovano le analisi dei problemi ai quali si aggiunge una certa
difficoltà di alcuni attori (ma valgono per tutti): essi appaiono
come prigionieri delle parole del testo. Comincia a delinearsi
il gruppo di attori che più degli altri parteciperanno esprimendo
le loro opinioni. Io taccio e guardo ammirato.
Il Maestro dice che lui comincia le prove dei suoi spettacoli lasciando
che gli attori improvvisino sui loro personaggi e sulle scene prima che
conoscano il testo, proprio per liberarli dalla prigione delle parole.
Se il corpo capisce, poi verranno le parole, non si deve rimanere costretti
&neacute dal testo &neacute dalle parole che l'autore ha scritto,
con lui bisogna collaborare, il testo è una cosa, lo spettacolo
un'altra.
La considerazione precedente è una delle tante involontarie e straordinarie similitudine con il metodo che io ho studiato, amo ed applico, il metodo "Mimesico" Di Orazio Costa Giovangigli, scomparso pochi giorni fa ad 88 anni. Non posso fare a meno di rivolgergli il pensiero affettuoso e la riconoscenza che da anni speravo di esprimergli pubblicamente in un'occasione di un mio anche piccolo successo, ma non è mai accaduto se non in America, ma a lui non sarà arrivato neanche l'eco dei miei ringraziamenti.
Insieme agli esercizi ritorna l'esigenza di trasformare quel che si fa in qualcosa di più "reale", si devono rispettare le circostanze e le azioni delle quali si deve essere ben consapevoli. Si evidenzia l'identità tra l'attore e il personaggio. L'attore è il personaggio non il contrario e fra i due non c'è differenza il sentire dell'uno è quello dell'altro.
~~~
Nella mia mente che voglio tenere disponibile all'apprendimento delle
tecniche che si vanno esponendo ed esemplificando, preme la principale
delle mie certezze.
Io sono io, il personaggio è il personaggio, magari posso fondare
o scoprire qualcosa del mio personaggio attraverso delle esperienze comuni
o simili, ma per me il personaggio viene molto prima di me ed indipendentemente
da me, tutto il suo sentire ed essere deve essere a mio avviso desunto
dal testo, qualsiasi altra cosa è illecita.
Anche per il Metodo, anche se esposto in modo opposto, sembra essere
così, l'identità tra i due elementi personaggio/attore porta,
attraverso l'analisi delle circostanze e delle azioni, ad un identico risultato
per stare sull'oggetto e sui sentimenti di un dato pezzo di teatro. Le
circostanze e le azioni sono quelle date e non altre, cambia l'attore e
quindi cambia il personaggio, ma il senso di una scena, di un dramma, la
sua collocazione fisica e temporale, i motivi e le intenzioni non si possono
modificare.
Non avevo mai pensato che cambiando l'attore potesse cambiare il personaggio, ma solo la sua interpretazione. Ed effettivamente mi sembra di capire che neanche loro con il metodo dicano una cosa diversa, ma lo dicono in modo diverso da me: rifiutano la diversità tra attore e personaggio.
Quelle volte che ho incontrato attori o sedicenti o veri del Metodo, li ho visti lavorare su cose personalissime che spesso nulla avevano a che fare con quel che la scena sembrava essere. In quelle occasioni ho sempre domandato dove avessero letto o che cosa li autorizzasse a farsi quel loro romanzo. Alla risposta io sono il personaggio, o peggio "così si fa", la guerra scoppiava immediata. Se il testo è degno della definizione di dramma teatrale, tutto si deve trovare al suo interno, il prima, il durante ed il dopo, se non lo si trova lì dentro non lo si può inventare. Dirò di più: il prima e il dopo non esistono, c'è solo quel che il testo indica, nelle battute, tra le battute, nelle note, nelle pause... sia pure anche nella vita dell'autore stesso o delle sue opere precedenti, ma inventarselo, no. Questa la mia opinione sempre manifestata e perseguita. Nonostante ciò, vedremo cosa succederà... ancora un poco di pazienza. Per adesso posso anticipare solo che sono convinto o che almeno credo fermamente di aver intrapreso la carriera di attore, non per mostrare quanto fossi o mi ritenessi bello o bravo, ma per annullarmi in un altro personaggio, per nascondermi dietro la maschera di un personaggio. Tant'è vero che forse i personaggi che mi sono riusciti "meglio" (sigh!) sono quelli che spero siano più lontani da me, quelli per i quali non mi sarei mai proposto, i mostri, gli abietti, i vili... Ciò non significa che questi mi abbiano lasciato indifferente, anzi, proprio per quei personaggi ho forse capito qualcosa di me. Forse.
Questa dimensione di identità mi darà tanto filo da torcere, genererà in me molta confusione. Capisco che i risultati del metodo da me fin qui utilizzato per recitare e per affrontare i testi è diversissimo dal "Metodo", ma porta agli stessi risultati. Ma in me la confusione si è avviata e sta prendendo velocità vorticosa. Questa confusione genererà molti lutti, ma non agli Achei che sono già morti, ma a me in generale per la morte di tanti miei piccoli sperimentati convincimenti. Decido di abbandonarmi al metodo fin qui appena orecchiato cadendo nelle contraddizioni più elementari e cadendo in tutti i tranelli anche quelli da me con più consapevolezza aborriti.
L'identità tra personaggio e attore da me parzialmente capita o quasi per niente e la libertà a cui mi inviterà Penn, mi faranno deragliare sul binario morto del "posso fare quel che mi pare" tanto se il personaggio sono io, quel che mi viene da fare dire pensare non può in nessun caso essere sbagliato. Non solo il concetto appena esposto è totalmente contrario ai miei principi, l'ho anche aspramente criticato tutte le volte che l'ho incontrato sia dentro che all'esterno della mia carriera professionale ed è anche profondamente contrario al Metodo il quale tiene sempre ben presente le circostanze date, ma io ancora non lo so e lo capirò, questo bene, solo troppo tardi. Tant'è che però, con grande fatica, senso di sacrificio, determinazione a mettermi in discussione, mi ci abbandono. Ahimè!
MA.
Sì c'è un 'ma' grosso come una casa. Capirò troppo
tardi che non solo non avevo capito, ma avevo lasciato fuori dal ragionamento
due tra le cose più importanti: circostanze date ed azioni. Ostacoli
me ne ero dati a bizzeffe.
Ma non è ancora tutto, non ci siamo ancora 'esibiti' nemmeno
una volta la mia partner ed io, e ci vorranno altre due settimane perché
io capisca qualcosa di più e di meglio, ma sarà troppo tardi.
~~~
I fatti:
La mia partner ed io sappiamo benissimo che non siamo pronti a niente,
che non abbiamo raggiunto neanche il livello zero di contatto e che in
queste condizioni anche la memoria ci difetta.
Scopriamo quel giorno stesso che Penn detesta o non ama Pinter, bel
problema! Dice che stiracchia i sentimenti, ripete ossessivamente, cosa
vogliono dire tutte quelle pause, che vuol dire mettersi seduti lì
a tavolino... Tutte cose che non avevamo preso in nessuna considerazione.
In un moto compresso tra orgoglio e necessità, ci facciamo avanti,
tanto sappiamo che faremo un casino, ma lui ci aiuterà.
Disposti come due imbecilli (o almeno uno di sicuro, io) ai due lati
di un tavolo posto verticalmente al palcoscenico in una posizione che più
banale non si può, spavaldi cominciamo a dirci le battute come peggio
non potremmo. Vengo istintivamente ed irresistibilmente preso da un nervosismo
che credo e continuerò a credere sincero e quindi utile alla scena
che stiamo disperatamente cercando di tenere in piedi senza nemmeno gli
spilli. Per fortuna Penn ci ferma come ha già spesso fatto anche
con altri e ci rivolge le domande fondamentali: circostanze ed azioni,
compiti, intenzioni, ostacoli. Su questo alla bene e meglio ci siamo preparati
quindi rispondiamo con competenza. Ci fa immediatamente notare che di tutto
quello che abbiamo detto non si vede nulla. Sgomento. A dire il vero parlo
solo io, arcigno, fiero, disperato, comico, fragile, molto fragile, capisco
poco di quanto mi dice, ma credo di aver capito. Fondamentalmente critica
tutto e ci invita a cinque precise considerazioni da tener presenti per
studiare e progredire, cinque considerazioni che saranno la mia maledizione:
1) dimenticare Pinter,
2) dimenticare il testo,
3) raccontare la nostra storia cioè quella di Federico
e F. (non la nomino come non nomino tutti gli altri per rispetto e perché
non sono autorizzato a nominare nessuno, io sono il solo responsabile di
quello che dico e di quel che ho capito e dei disastri che vi verrò
raccontando),
4) rompere le regole,
5) essere anarchici.
La discussione è durata moltissimo io sono disfatto ed umiliato,
mi allontano mormorando: ma come qui c'è Pinter ed io devo raccontare
la mia storia!?!?!?
Ci ha fatto a pezzi, ma non meritavamo di meglio. Però abbiamo
una base "certa" su cui lavorare.
Continuano le esercitazioni degli altri e sempre Penn trova il modo
più semplice e diretto per farli avanzare, aiutandoli a capire ed
a chiarirsi le circostanze, le azioni e a trasformare il "sentire" in qualcosa
di reale.
Spesso, capita a molti ed anche a me, il dialogo che segue la prova
della scena, proprio perché a quel punto si abbandona qualsiasi
convenzione teatrale, appare, anzi è decisamente reale, sentito
realmente. Al paragone con questa realtà tutto quello che si è
fatto, che ho fatto, durante il tentativo di 'recitazio&neacute scompare
come sempre l'illusione scompare alla luce della realtà. Anche la
regista che segue e riprende con la telecamera il seminario, me lo fa notare.
Io rispondo che il pubblico se mai venisse a teatro non verrebbe a vedere
me, ma il personaggio. Sento, ma non so se capisco che Penn mi dice che
questo non ha niente a che fare con la sincerità del sentimento
espresso o provato in scena, che se reale passa il palcoscenico, se finto
non rivela altro che finzione, menzogna. Nel mio dialogo mi dicono la regista
e Penn, io stesso sono molto più interessante che nella prova della
scena. Ostinato continuo a pensare: ma che cosa gliene può importare
al pubblico di me! Il problema che non risolvo è come mettere quella
sincerità nel personaggio.
Il dialogo continua con tutti i presenti su altri esercizi e prove:
Penn racconta di quando dovendo mettere in scena un testo dal titolo "Un
funerale in famiglia" si accorse all'inizio delle prove di come tutti,
dagli attori allo scenografo al costumista ecc. avessero interpretato o
stessero interpretando la conclusione, in una tristezza infinita, come
tutti fossero già fin dall'inizio alla conclusione del dramma invece
di arrivarci raccontando la dinamicità degli avvenimenti. Spesso
gli attori condizionati dal titolo del testo che affrontano o dalla conoscenza
degli sviluppi del testo, interpretano la fine del dramma fin dall'inizio.
Come tutte le altre scoperte è tanto banale quanto infinitamente
vera. Non smetteremo di cadere in questo tranello.
Si parla di emozioni sensoriali, ricostruzione dell'oggetto ed uso
di questo, assente o presente che sia. Come fare passi in avanti di livello
in livello.
~~~
Un regista S.B. presente in sala tra gli spettatori/guardoni di questo
che io ritengo sia più, in questa fase, un peep shop che un teatro
(sì, perché siamo nudi, non possiamo far ricorso a nessun
trucco, non ci stiamo esibendo, stiamo studiando, non dobbiamo rivelare
o mostrare la nostra abilità, ma i nostri problemi, i nostri dubbi.
Ed io in questo sono maestro anche se nessuno se ne accorge o per complicità
o per disinteresse. Io attraverso la tensione che so scientemente creare
mi faccio del male tagliandomi di netto la carne viva dei miei errori per
da lì ripartire mondato, cerco di svelare coprendola tutta la mia
inadeguatezza o fragilità. Tutto ciò non è facilissimo
da mostrare, ed è ancora peggio quando riesco a nasconderlo), un
regista presente in sala mi si avvicina e fa alcune considerazioni riguardo
quanto ha visto, delle quali gli sono assai grato:
A) Non ti arrabbiare! (Vero! Durante la conversazione devo essere
stato molto aggressivo, forse per difendermi dalle ferite dolorose che
mi ero fatto, so di essere così, ma non me ne ero accorto).
B)
Non
dare la colpa alla tua partner! (Vero! Non era una mia intenzione cosciente,
ma evidentemente si era palesata).
C) Pinter non solo non è
adatto, ma ha bisogno di una precisissima cadenza di battute, azioni, pause...
tutto parla. In voi non esprimevano niente neanche le battute stiracchiate,
mal dette ed inaudibili, forse anche mal pronunciate. (Vero e basta!)
Alla mia domanda che devo fare, gli ho strappato la seguente risposta
che non so se lui realmente approvi, io sì, è sempre stata
l'ultima soluzione in casi simili ed ha funzionato:
D) Fatevi (la
mia partner ed io) una bella litigata. (Vero! Ci ho provato, ma con lei
mi é sembrato troppo pericoloso, non mi sono voluto prendere questa
responsabilità, non sono né uno psichiatra, né uno
psicanalista, né un semplice terapeuta, ma solo un attore che non
sa più dove sbattere la testa)
L'appiglio era lì, lei me lo offriva chiaramente, ma io stavo perdendo qualsiasi possibilità di vederlo.
I giorni seguenti abbiamo a disposizione il teatro per provare da soli: occasione meravigliosa. Io e la mia partner ci diamo appuntamento lì per il lunedì seguente.
~~~
Improvvisazioni: Condenso il racconto degli accadimenti di tre
giorni di lavoro, noi da soli in teatro, tutte insieme risulteranno essere
12 ore di improvvisazioni in ogni direzione (sigh!):
Modifichiamo una delle circostanze: così come suggerito dal
testo avremmo dovuto essere in un pub, seduti uno di fronte all'altro.
Penn ci aveva detto di non sederci, di muoverci. Così, siccome ci
sembra un po' improbabile muoversi tanto liberamente in un pub, scegliamo
di agire in una stanza privata di un pub, una di quelle stanze dove può
avvenire di tutto, da un convegno di affari ad un pranzo ad un convegno
amoroso o a pagamento. I errore.
Cominciamo muovendoci nello spazio dato, dicendoci le battute. Risulta
essere più che altro una prova di memoria.
Riproviamo come prima ma anche aggiungendo battute improvvisate soprattutto
io, raccontandoci storie, passato e presente, domande e risposte. Credo
che questo sia l'esercizio dello "speaking out". II errore.
Ci si dovrebbe attenere alle circostanze ed azioni date, io invece divago
abbastanza pur credendo di rimanere in tema. Succede ben poco. Mi monta
un po' di agitazione, ma la controllo benissimo. Mostro ancora molta disponibilità,
credo di essere ancora molto disponibile.
Proviamo la scena muti. Effettivamente qualcosa accade, c'è
più comunicazione fra noi, contatto e senso, i corpi procedono dove
le parole non sapevano portarci.
Riproviamo con le parole: non succede nulla. Immediatamente prigionieri
delle parole, della memoria.
Noto che la mia compagna procede in tutti gli esercizi con lo stesso
"sentire" anche denso, ma che a me appare univoco, non modulato, noioso,
compie sempre le stesse azioni di avvicinamento e contatto fisico, reagisco
con un po' di fastidio, non le dico niente, cerco di mantenermi fisicamente
ed intellettualmente disponibile alle sue proposte, ma forse involontariamente,
più probabilmente volontariamente comincio a provocarla durante
le improvvisazioni, con battute e azioni più o meno inserite nel
contesto, rifiuti, fastidio manifesto, sempre più allontanandomi
dalle circostanze date, ma non me ne accorgo. E' cominciata la discesa
ripida verso il disastro. La mia disponibilità nei confronti della
mia partner comincia a cedere. III errore.
Un'attrice abbastanza esperta del Metodo che assiste alla prova, mi
fa delicatamente notare che ci dovremmo attenere alle circostanze date.
Le ricordo le cinque indicazioni di Penn: Dimenticare Pinter, dimenticare
il testo, raccontare la nostra storia, rompere le regole e essere anarchici.
Lei non replica e forse si convince. IV errore.
Non riesco a scuotere la mia partner che continua un suo percorso di
avvicinamento che mi infastidisce sempre di più, mi appare sempre
uguale ad ogni esercizio, comincio a stufarmi di improvvisare senza che
nulla accada. V errore. Le propongo di scambiarci i ruoli
e improvvisare senza o con poche parole, non so se sia previsto dal Metodo,
ma la proposta viene accettata. Procediamo (io 'faccio' lei Emma, lei 'fa'
lui Jerry): non so cosa succeda al mio corpo, mi sento brutta, stanca,
avvilita, non cedo all'idea facile di "travestirmi" che pure mi passa per
la mente, rifiuto l'idea banale, mi torna in mente una mia battuta di un
mio testo teatrale che chissà se mai arriverà sulle scene,
"...Anche gli uomini son come le donne...", non c'è qui la possibilità
e lo spazio per raccontare cosa significhi, nel testo appare chiarissimo
e ai pochi che l'hanno letto sembra apparire molto chiaro, comunque mi
abbandono a tutta la mia fragilità, la fragilità di un personaggio
che ha passato una notte infame a parlare con il marito dal quale ha ricevuto
la rivelazione che l'ha sempre tradita ed al quale lei stessa rivela il
proprio tradimento con il migliore amico (del marito) storia durata sette
anni e finita da due. Ora in procinto di incontrare l'ex amante che non
vede da due anni, dal quale cerca forse conforto, forse l'affetto di allora,
al quale forse sa di aver combinato un casino avendo rivelato tutto al
marito. Le circostanze sono esattamente quelle proposte dal testo. Bene.
Aspetto che lei/lui (ci siamo scambiati le parti) entri, aspetto, lui entra,
lo guardo, lo riconosco, ma è diverso da come lo ricordavo, non
reggo, mi commuovo, lo abbraccio, mi abbraccia, scoppio in lacrime, mi
consola con il suo abbraccio, mi riprendo e sempre umido di lacrime continuiamo
la scena. Bene, mi sembra, molto bene. E' accaduto moltissimo. Ho appreso
molte cose, prima fra tutte la fragilità di quella condizione per
il personaggio di lei, lo smarrimento di lui. C'è stato contatto,
molto emozionante. Non realizzo lo smarrimento della mia partner. VI
errore.
Torniamo alle battute. Di nuovo non succede niente di quello che mi
aspettavo, solo i soliti inseguimenti, credo. Eppure gli appigli che la
mia partner mi manda sono lì. Non li vedo e non voglio vederli.
Sento il bisogno di una maggiore reattività e la provoco allontanandomi
sempre più dalle circostanze e dalle azioni date. VII errore.
Continuiamo così tra rabbia e fastidio per due giorni, ripetendo
improvvisazioni di tutti i tipi credendo di stare sulla scena data, ma
invece io me ne allontano sempre più, ma non me ne accorgo, mi sento
autorizzato ad andare dove mi porta il caso ed il fastidio di quella situazione
perché ormai accetto istintivamente l'idea che se io sono il personaggio
io posso fare quello che voglio. VIII enorme errore. Se non
stessi cercando di praticare il "Metodo" che per altro non conosco, mi
sederei a tavolino con la mia partner e discuterei battuta per battuta,
senso, significati, direzioni ed anche circostanze ed azioni anche se non
le chiamerei così, ma la mal comprensione dell'esercizio mi allontana
dal mio metodo per assumere quelle regole che credo, sbagliando,
siano proprie del "Metodo": io sono il personaggio e sono autorizzato a
fare qualsiasi cosa senta, perché quel sentire mi appartiene e quindi
è vero. Non solo non c'è niente di più sbagliato per
il Metodo, ma anche per le mie intime convinzioni, ma ormai credo che sia
giusto abbandonarmi anche a quella ricerca e lo faccio con senso di sacrificio,
per sperimentare ciò che non conosco, convinto sia quella la direzione
da prendere. Purtroppo sbaglio completamente direzione. Sebbene nessuno
mi avesse invitato a fare così, mi ero ormai convinto che quella
fosse la strada che mi era stata richiesta. L'VIII errore è veramente
imperdonabile. La mia partner continua, solo un po' turbata dalla mia rabbia
che si fa evidente, la sua strada di "sentire realmente", ma io non la
vedo proprio più, semplicemente mi appare monotona e sempre uguale,
per cui io continuo a manifestarle solo il mio fastidio ed a provocarla
durante le improvvisazioni che diventano sempre più tese, rabbiose.
Non sono più disponibile fisicamente a cedere ai suoi avvicinamenti,
desidero solo vedere una fiamma sia pure di rabbia ed altrettanto fastidio
da parte sua nei miei confronti, ma la sua intima delicatezza la tiene
su modi gentili e riservati che mi irritano ancora di più. Sempre
erroneamente convinto che essendo la mia irritazione reale sia opportuna
alla scena, quella metto in campo e non riesco più a fare altro.
Ultime due ore di improvvisazione: Il giorno prima siamo arrivati
a qualche momento di contatto sia pure rabbioso, ma mi appare ancora molto
poco, troppo poco.
La prima improvvisazione non è niente di più di una prova
di memoria.
La seconda è meno di niente.
La rabbia monta e lo dico.
Riprendiamo. Deluso e preoccupatissimo, finalmente, non so perché,
scelgo di andare sulle corde di lei, accogliere e rispondere alla univocità
(così mi appare) dei suoi sentimenti. Sono dolcissimo anch'io, finalmente
smarrito nel vederla, ci commuoviamo entrambi, l'ascolto, le rispondo.
Sentendo le "azioni" delle sue battute un po' casuali ed appiccicate sulle
parole, senza perdere il personaggio che sto proponendo, la invito a trovare
o a pensare che forse quello che sta dicendo ha un senso diverso da quello
che lei propone, sempre senza interrompere l'improvvisazione sento alle
mie spalle conforto alle mie parole da parte di una gentilissima persona
che ci assiste ed assiste alle nostre prove. La mia partner tenta una giustificazione,
ma incredibilmente, essendo venuto il suggerimento anche da una persona
diversa da me, prova a modificare le sue "azioni" ci riesce e l'improvvisazione
continua come se nulla l'avesse interrotta. Siamo dolci, disperati, preoccupati,
vicini e poi di nuovo lontani. 'E' ciò che dovrebbe essere' ci conforta
la spettatrice. A me invece sembra poco più di niente, sbaglio,
ma non lo capisco ed invece capisco che mi sono abbandonato alle sue corde
per dimostrarle subdolamente come quella dimensione fosse niente. Sbagliavo
ma lo capirò troppo tardi. IX errore. Ripetiamo la
stessa improvvisazione, ma io non riesco a tenermi su quel contatto, la
mia insofferenza esplode. X clamoroso errore. Altri due attori
presenti in attesa di provare il loro lavoro, mi gridano di mettere tutta
la mia energia nella scena invece che nella discussione. Sono ormai cieco.
Completamente. Rispondo che l'ho già fatto i giorni precedenti e
che non è successo niente lo stesso. Ne sono convinto. Ed è
vero, ma il X errore si ingigantisce, diventa mortale.
Nonostante lei mi inviti a continuare ad improvvisare io mi sento sfinito,
non avendo visto alcun avanzamento, sono stufo. Usciamo insieme e, fuori
del teatro, ci limitiamo ad una semplice prova di memoria seduti che sembra
più interessante di tutto quello che abbiamo fatto finora. Ci lasciamo
molto tesi.
~~~
III pomeriggio: Le nostre dodici ore d'improvvisazione sono state
interrotte da un altro incontro di lavoro con Penn.
La cosa straordinaria di questo spirito felice dell'arte è quella
capacità di condurre l'attore verso il percorso di ricerca del "reale"
con poche e semplici parole, irripetibili, perché quando le pronuncia
sembrano addirittura ovvie, solo che vengono in mente solo a lui. Lo sappiamo
tutti, la principale virtù dei grandi è la semplicità,
ed in lui è al massimo grado.
Si avvicina agli attori mentre provano i loro pezzi e sottovoce, senza
interromperli suggerisce un'azione o un sentimento ed improvvisamente la
scena monta. Ci vuole molta apertura e disponibilità da parte degli
attori, ma lui sa come condurveli. Si assiste alla replica delle scene
già viste il primo ed il secondo giorno, agli avanzamenti che le
scene hanno fatto seguendo le indicazioni ed i compiti assegnati da Penn.
I cambiamenti sono ancora incerti, ma notevoli.
~~~
IV pomeriggio: Si apre con la ripetizione di un lungo monologo
di un attore studiato la sera del giorno precedente, per elaborare sensorialità
e chiarezza, direzione delle azioni.
Già alla prima prova Penn è entusiasta c'è un
grande avanzamento. Comunque invita l'attore a ripetere il monologo in
una lingua universale, una specie di Gramlot di Fo. L'attore è bravissimo
e disponibile, il senso della scena e delle azioni, si evidenziano, montano.
L'atmosfera è molto piacevole.
Tocca a noi. Siamo terrorizzati, addirittura la mia partner spera che
Penn ci interrompa subito per lavorare con lui. Io, dopo le tensioni del
giorno prima, mi sento molto più vicino a lei, la consolo, la tranquillizzo,
ma sembra che tutto ciò non sortisca alcun effetto. Prevedo già
che si agiterà tantissimo e che quindi io dovrò impormi di
mantenere la calma ed eventualmente con battute improvvisate riuscire a
tranquillizzarla anche durante l'esercizio. Lei stessa me lo chiede. Ed
io mi sento perfettamente in grado di farlo.
Una frase dell'introduzione di J. R. Isaacs ad "Acting" di Boleslavsky,
mi conforta: "First know rightly what to do, and then to do it rightly".
L'ho sempre fatto, ho sempre mantenuto la testa fredda, concentrandomi
prima di entrare in palcoscenico, sapendo quello che dovevo fare, e quindi
l'ho fatto. Mi sento relativamente sicuro di me. Purtroppo non ho considerato
che quel "rightly" è la cosa che conta di più. Dimentico
completamente il livello per me insoddisfacente degli ultimi esercizi fatti
con la mia partner e trattandosi ancora di un'improvvisazione mi preparo
a sorprenderla per, spero, riuscire ad ottenere freschezza di reazioni
e contatto con lei. Ha inizio l'XI e più grave errore
accompagnato dalla somma di tutti gli altri. Decido di entrare nella stanza
che ci siamo dati come luogo e sorprenderla come non ho mai fatto prima,
con uno stupido e, nelle mie intenzioni, tenero gioco che talvolta nella
vita ho fatto, mi sembra tenero perché assolutamente scoperto. La
sorprendo silenziosamente alle spalle ben sapendo che lei mi sta aspettando,
le copro gli occhi per farle indovinare chi sia a coprirglieli, avviando
così un tenero gioco anche intimo, di immediato contatto che ci
porterà anche ad una emozione che potremo sviluppare durante l'esercizio.
Niente di più sbagliato. Capirò troppo tardi che anche nell'improvvisazione
non è lecito fare cose che l'altro non si aspetti e comunque mai
è lecito abbandonare le circostanze e le azioni date. Ma io ormai
sono cieco e convinto di essere nella giusta strada dell'esercizio, sentendomi
autorizzato ad essere io il personaggio e quindi, sebbene contrarissimo
ai miei principi, qualsiasi cosa accada o provi o "senta", sarà
comunque giustissima.
E' un corpo a corpo in cui io rapidamente ripercorro tutte le improvvisazioni
fatte e senza accorgermene abbandonato come sono, costruisco di attimo
in attimo dei "punti fissi" che raggiungo. Credo di essere sulla scena,
dentro le circostanze, credo di mantenere la calma perché immediatamente
mi accorgo che lei non sa più dov'è, cerco ad arte di tranquillizzarla,
ma la mia inconscia irritazione, violenza ed aggressività emergono
senza che io possa più controllarle.
Penn ci interrompe. Comincia il dialogo con tutti i presenti. Io non
capisco e, mi dirà il giorno dopo la gentile signora che ci assiste,
Penn non capisce che io non capisco. Io mi difendo dalle critiche ed osservazioni
di tutti con ostinata aggressività, non capisco quel che mi dicono
e non dico che mi credo dentro l'esercizio perché tutto quello che
abbiamo fatto certamente non racconta la scena sulla quale avremmo dovuto
lavorare, ma certamente racconta, come ci è stato richiesto, la
relazione che c'è o si è instaurata tra me e la mia partner.
Senza mai dirlo perché mi sembra implicito, sostengo che se come
dice il metodo io sono il personaggio, nessuna critica di irrealtà
o di comportamento sbagliato può essermi mossa, perché ormai
sono convinto che se io faccio qualcosa o reagisco in un modo che credo
sincero, che sento naturale, e con il mio più completo abbandono,
anche la mia irritazione, debba a tutti i costi essere giusta ed io nel
giusto. Nessuno lo rileva, nessuno è capace di fermarmi e farmi
capire che tutto sarebbe giusto solo nelle circostanze e nelle azioni date
dalla scena, cose che io ho completamente dimenticato e sono per di più
convinto di essermi abbandonato a ciò che credo sia il loro credo,
di quelli che conoscono e praticano il Metodo. Niente di più sbagliato.
Non riesco &neacute ad ascoltare quel che mi dicono &neacute a
dire quel che credo scontato e scontato non è. Sono ormai rigido,
in difesa, non voglio &neacute cedere &neacute essere sgarbato,
non voglio accusare la mia partner, ma il risultato è peggiore.
Credo di essere apparso agli occhi di tutti come un bruto irrispettoso
della delicatezza di lei, e forse è vero. Un attore osserva che
entrambi abbiamo indossato delle "attitudini" e abbiamo senza nessuna freschezza
o "reale sentire" proposto dei punti fissi. E' vero ma me ne rendo conto
poco e malamente. La mia partner tace, osserva solo che non ci eravamo
dati punti fissi ad eccezione di tre "azioni" previste e suggerite della
scena. Questo mi fa sentire più vicino a lei. La quale per il resto
tace. Penn chiede a lei quali fossero le sue intenzioni in quella scena,
lei tergiversa, tace, non riesce a rispondere, scoppia in lacrime. Io intimamente
mi irrito. Penn mi chiede di stabilire ora un contatto con lei. Io mi avvicino
e mi inchiodo combattuto tra la mia irritazione per quel pianto, la voglia
di esprimere quel sentimento reale e l'esigenza di stabilire un contatto,
passano dei minuti, io non ho il coraggio di consolarla, resto così
inchiodato, fino a che Penn dice che un contatto non è una sinfonia
che duri in eterno, un contatto è un contatto. Capisco, ma non mi
schiodo dall'incomprensione di ciò che io debba fare: essere gentile
con lei? farmi carico di quel dolore che l'ha presa? Io in quel momento
la odio! Cosa sarebbe giusto fare? Penn ci invita a procedere nella scena.
Lei sempre in lacrime pronuncia con parole proprie il senso dell'ultimo
momento della scena, in me l'irritazione è totale e per altro la
scena prevederebbe in quella fase la mia più totale paura, incazzatura,
sgomento. Cose che provo ma che a quel punto non ho più il coraggio
di far emergere. Io sono nero, la mia partner è in qualche modo
consolata dalla comprensione di Penn e di tutti i presenti. Io sono un
mostro che effettivamente non ha capito un cazzo e che ha aggredito la
sua partner, siamo tutti stanchissimi, la scena e la conversazione funestata
dalla tensione che io sono stato capace di costruire hanno occupato l'intero
spazio tra un intervallo ed un altro. Siamo stremati ed ognuno a su modo
incazzato. Penn chiaramente mi disprezza per il mio manifesto cinismo,
ma non cede dalla sua straordinaria semplicità e dolcezza, certo
corre preoccupato in soccorso della mia partner. Lei mi guarda, Penn mi
domanda cosa vedo nei suoi occhi, io rispondo odio nei miei confronti,
lui dice e allora, io dico che le lacrime di una donna ricca bella elegante
che dirige una galleria di pittura con la quale ho avuto una storia per
sette anni ormai finita da due anni (così sono i personaggi) e forse
anche per questo, non mi inteneriscono per niente ed anzi mi fanno incazzare
e non capisco perché debba nasconderlo. La confusione su che cosa
significhi l'identità tra attore e personaggio è al suo culmine.
Penn ci separa, dà a lei un esercizio ed a me un altro. Entrambi
mi odiano. Bene! La mia carne è nuda e ferita, credevo di essere
il più forte e per questo mi sono dominato almeno nelle intenzioni
volontarie, invece sono completamente sconfitto, lei, sia pure in lacrime,
si è dimostrata molto più forte ed ostinata di me, non ha
mai modificato il suo "vero sentire", io non sono mai stato capace di capirlo,
di prenderlo, di essere con lei. Non ci sarà tempo per capirlo,
la mia mente rimarrà offuscata anche per i giorni a venire. Di più
capirò la sera dell'ultimo incontro, ma sarà comunque troppo
tardi.
Io mi sono sempre considerato un attore 'femmina'. Ricordate la definizione
che si diede alla nazionale italiana di calcio ai mondiali di Spagna dell'82?
Si disse che la squadra era una squadra femmina perché si adattava
alle condizioni della squadra di volta in volta avversaria, le rifletteva
e vinceva. Certo quelli erano campioni e questo non è, evidentemente,
il mio caso, ma io amo molto adattarmi al gioco che mi si propone. In questa
occasione non sono riuscito a coglierlo, se c'era un gioco io non l'ho
visto.
Il mio vanto di attore di essere sempre se non capace, almeno molto
disponibile a tentare di fare il possibile per realizzare quel che mi viene
chiesto dai registi, al punto di rifiutare qualsiasi "repertorio" qualsiasi
sicurezza, è stato assolutamente travolto, è crollato sotto
i colpi di una mia totale (ho creduto) dedizione ad un compito che ho completamente
sbagliato. "Think rightly"! Invece avevo pensato completamente sbagliato.
Gli esercizi:
A lei Penn affida il compito di preparare il personaggio da "La più
forte" (di Strindberg, introvabile in libreria), un dialogo con una partner
che non parla. A me affida il compito di preparare "il momento privato",
mio momento privato, non di un personaggio che sarebbe esercizio forse
più facile e per la mia natura molto molto più interessante.
Di nuovo panico. Che cos'è il momento privato? Chiedo ad attori
del seminario più esperti del metodo, tutti mi dicono cose più
o meno simili che descrivono quello che è chiaro fin dal titolo
di questo esercizio, tutti ad accezione di uno concordano che si tratti
di ricostruire un momento privato della propria vita che non si compirebbe
davanti a nessuno, se si fosse sorpresi si interromperebbe, insomma qualcosa
di assolutamente privato. Mi suggeriscono di portare oggetti e attrezzeria
da casa, cose personalissime. Mi raccontano che in alcune occasioni l'80%
degli attori invitati allo stesso esercizio si sono spogliati, qualcuno
si fa la barba, chi si lava i denti... , la mente naturalmente va alle
cose più private come la masturbazione o le altre attività
fisiologiche che si compiono solitamente in bagno e da soli, anche tagliarsi
i peli dal naso o strapparsi quelli dalle orecchie. Strasberg ha inventato
questo esercizio per far superare agli attori quel muro di imbarazzo o
timidezza che li costringe ad una insincerità di comportamenti e
movimenti quando sono davanti al pubblico. Insomma dalle mie ricerche e
da quello che riesco a intuire si tratta di raggiungere quella dimensione
che è sempre necessaria in un primo piano cinematografico. Ricordo
il racconto che mi fece il più grande dei registi con cui ho lavorato
e comunque grandissimo in assoluto e al quale devo tutto, come molto devo
a molti altri, a proposito della situazione di un'attrice che dovendo appunto
girare un primo piano intimo e delicatissimo in un capannone che fungeva
da studio cinematografico dove poco più in là stavano girando
un altro film tutto diverso, un western con cavalli, carrozze e sparatorie
(può darsi che la memoria abbia trasformato l'episodio, il regista
me lo raccontò nel gennaio 1977) fu tranquillamente capace di dimenticarsi
di tutto e raggiungere la commozione che la scena le richiedeva. L'attore
deve essere capace di isolarsi da tutto ciò che gli accade intorno.
Senza arrivare agli eccessi descritti ciò accade sempre in cinema,
al minimo c'è una troupe che ti guarda e racconta ben altra storia
da quella che a te è affidata. In teatro a me è stato insegnato
di sentire sempre il pubblico, quindi l'esercizio di dimenticarlo è
ancora più difficile, per di più il nostro pubblico è
composto a mio avviso come ho già detto, in questa situazione, da
guardoni. Cosa diversissima sarebbe se fossimo solo noi attori con gli
stessi rischi e pericoli da correre. Penso a quali siano i miei momenti
privati che non mostrerei neanche ad una persona intima: a parte la masturbazione
e la defecazione non ne trovo. C'è una cosa che amo moltissimo fare
e che mi concedo qualche volta, io la chiamo: "La mia perdita di tempo",
considerando il tempo che mi è concesso, una dimensione finita,
"sprecarlo" è il massimo del lusso e della lussuria. Con i miei
vestiti del giorno prima, prima di lavarmi o, dopo una intensa giornata
di lavoro, mi siedo sulla mia poltrona preferita, mani in tasca, un paio
di golf addosso che sento sempre freddo, e così mi perdo nei miei
pensieri, parlo con i miei fantasmi che in genere mi rimproverano per tutto
quello che dico loro e per i miei propositi di vendetta per una violenza,
l'unica, subita nella mia vita. Effettivamente posso ben dire che a parte
alcune difficoltà economiche che sicuramente tutti hanno provato,
io ho avuto ad eccezione di un episodio professionale che mi ha massacrato,
una vita finora assolutamente felice e privilegiata, anche i dolori nella
mia vita sono serviti a crescere. Effettivamente "sprecare il mio tempo"
è una cosa che mi riesce benissimo anche in pubblico, l'ho sperimentato
più volte. Avrà senso farlo in questa occasione? Non lo so
e non so decidermi, comunque mi carico mezza casa (tutto l'abbigliamento
intimo e non, del giorno prima, tre golf, la scatola del Maalox, alcuni
oggetti, dei libri, la fodera della mia poltrona preferita, intrisa del
mio odore stantio e molte altre cose) in un'ampia valigia e vado al 5¡
incontro con Penn. Non so che cosa farò &neacute se farò
l'esercizio. Sono tesissimo.
~~~
V pomeriggio: Vorrei qui citare in particolare cinque esercizi
tra i tanti ai quali ho assistito che più sono stati importanti
per me, per il livello di sincerità e lavoro che sono stati raggiunti
dagli interpreti. Questi episodi naturalmente sono stati diluiti nell'arco
dell'intero seminario e non solo questo giorno. (Molti esercizi ai quali
ho fatto riferimento, magari sono stati eseguiti in giorni diversi da quelli
nei quali io li colloco, ma la cronologia degli sviluppi è a mio
parere esatta.)
1) Giovanna D'Arco di George Bernard Shaw.
2) Il Gabbiano
di Tennesse Williams.
3) Un mese in campagna di Ivan Turgenev
4)
La Signorina Giulia di August Strindberg.
5) Il bicchiere della
staffa di Harold Pinter.
Uno, "Giovanna D'Arco": Giovanna dopo sette mesi di carcere viene condotta
in tribunale e riceve la condanna. Prima prova: sorprende la capacità
dell'attrice di dominare la lingua, ma soprattutto il coraggio di esporsi
tra le prime, gli elementi della sua persecuzione e del coraggio sono tutti
già lì, ma come non ancora completamente distinti, certo
la prova è emozionante. L'ingresso dell'attrice in catene è
da brivido, poi la tensione prosegue drammatica, ma è come recitata
sia pure benissimo, ma non tanto reale. Penn suggerisce di meditare su
che cosa significhi per Giovanna quel processo e quale debba essere la
sua condizione sensoriale (sofferenza, odori, dolori, freddo...) dopo sette
mesi di prigione. Anche, suggerisce ancora, il processo per Giovanna dovrebbe
significare la gloria e la fede in Dio, l'occasione perché si manifestino
l'uno e l'altra. Queste per sommi capi le indicazioni più importanti
che io ricordi. Seconda prova: Non vedo un enorme cambiamento sebbene l'attrice
liberi una straordinaria potenza. Terza prova: L'abisso. Entra una santa,
lacera, probabilmente puzzolente, umiliata dalle torture, eppure entra
una santa eretta nella sicurezza della protezione del suo Dio, ma anche
abbandonata alla certezza della sua fede. Momento agghiacciante per intensità
e santità è quando il giudice le indica l'uomo che la tiene
in catene e che non è solo il suo torturatore, ma sarà anche
il suo boia. "Giovanna" si gira a guardarlo e in lui vede (o io vedo questo
nei suoi occhi e nel suo corpo) materializzarsi l'uomo che come figlio
di Dio non può rappresentare un pericolo, tutt'al più compirà
la volontà del Dio in cui lei ha fede. Non c'è paura, ma
fiducia ed abbandono nel suo Dio. La condanna al rogo viene pronunciata
ed in Giovanna emerge la donna mischiata alla santa, la paura umana e l'abbandono
alla volontà di Dio sia pure manifestata attraverso la volontà
degli uomini. Ci sono in questa attrice chissà quante altre emozioni
reali e spaventosamente drammatiche, io abbagliato da quel che ho visto
sono in suo potere, ora potrebbe raccontarmi qualsiasi cosa, io ci crederei.
L'attrice scappa perché ha da fare, ma anche in sua assenza Penn
ne loda il lavoro straordinario.
Due, "Il Gabbiano": Questo Gabbiano di Williams è un inedito,
mi interessa molto in questa occasione, perché i due attori che
lo provano sono molto adusi al Metodo, hanno studiato molto, raggiungendo
ad ogni prova momenti estremamente significativi. Quel che mi colpisce
delle indicazioni di Penn in una delle occasioni, la seconda, è
che chiede loro cosa si aspettino l'una dall'altra. Per esempio all'attrice,
"Nina", chiede da dove venga e perché venga lì nello studio
di "Trepilov". Viene da fuori, piove, è stata abbastanza sotto l'acqua,
viene per consegnare a Trepilov una lettera. Penn dice che non si vede
che è bagnata e non si vede che vuole o debba consegnare la lettera.
Difatti l'attrice se ne è dimenticata presa dall'intensità
di rapporto con il partner che ha effettivamente raggiunto un alto livello.
Scioccante ma significativo aver dimenticato l'azione principale della
scena. Mi limito a questo perché i due attori sono molto partecipi
e bravi, ho assistito a delle prove che avrebbero bisogno di un regista,
loro sono in grado di fare molto anche da soli.
Terzo, "Un mese in campagna": La donna vuole spingere via il suo amante
che la tratta male. La prima prova dell'attrice mi appare più come
un momento privato interiore, non mi suscita una particolare emozione.
Penn la invita ad un maggiore contatto con il suo partner, attore che mi
appare freddo ma comunicativo, intenso. La seconda prova, i due attori
sono insieme, ci sono lunghi momenti di grande intensità, si assiste
alla sofferenza della donna ed all'evolversi dei suoi sentimenti contrastanti
di volerlo cacciare via, ma anche di volerlo trattenere. Grande intensità
e contatto tra i due interpreti. Ma alla proposta di Penn di eseguire ancora
l'esercizio senza parole succede quello che sarebbe stato difficile immaginare:
I sentimenti si materializzano si vedono fisicamente gli uni trasformarsi
negli altri, la sofferenza è grande e l'emozione degli spettatori
altissima. Chiedo a Penn se l'attrice in caso di repliche debba sottoporsi
sempre tutte le sere allo stesso stress psicologico, lui dice assolutamente
no, deve ripercorrere e lasciar fluire quello che ha sperimentato, senza
cercare di raggiungere le emozioni che ha provato, potrebbe certamente
superarle, ma qualora non ci riuscisse ne sarebbe delusa e non succederebbe
niente, deve solo ripercorrere le "azioni" compiute che ormai il suo corpo
ha immagazzinato nella memoria fisica, le emozioni verranno da sole. Eccezionali
entrambi gli interpreti, due attori capaci di parlarsi.
Quarto, "La Signorina Giulia": da questo esercizio ho appreso due lezioni:
L'umiltà della celebre attrice che si è sottoposta e veramente
messa in discussione senza falsi pudori, e la capacità anche di
fronte di uno straordinario lavoro di attori suo e del suo partner, la
capacità di rinunciarvi se fuori dalle circostanze date e dai significati
dati.
Quinto, Il bicchiere della staffa: Un uomo perseguita durante un interrogatorio
prima un uomo e poi sua moglie. La prova è divertente, ma anche
un po' tutta uguale. Penn in segreto suggerisce ai due interrogati di modificare
all'opposto le loro "azioni", invece di essere succubi, devono loro provocare,
resistere, affrontare colui il quale li interroga. La scena si capovolge
con effetto devastante, il persecutore non sa più come agire, la
scena si muove ed altre dinamiche si scoprono, non potranno più
essere dimenticate anche tornando alle circostanze ed azioni date dalla
scena.
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Molti altri sono stati gli esercizi, tutti molto interessanti:
In un moto spontaneo, non so né come né perché,
avvicino Penn e gli comunico che non farò l'esercizio sul momento
privato, perché già sono stato nudo completamente nudo davanti
a lui e a tutti gli attori e spettatori, durante la conversazione che è
seguita al mio esercizio il IV giorno. Gli chiedo se la cosa ha senso per
lui, mi dice che certamente sì. Il mio unico dispiacere è
di non poter lavorare con lui su una delle altre scene che ho preparato.
Non sono rilassato per niente, ma sono convinto che lui a sorpresa mi chiederà
di farlo, sono pronto con tutte le mie chincaglierie ad affrontare l'esercizio.
Non ho preso in considerazione il grande rispetto che lui ha per gli altri,
non me lo chiederà. Peccato. Colpa mia comunque.
Durante i giorni di improvvisazione libera, quindi di studio, ed anche
prima degli incontri con Penn, mentre aspettavo che la mia partner arrivasse
o che la sala si riempisse, con un'attrice molto disponibile che aveva
assistito ad alcune ore di lavoro della mia partner e mio, avevo provato
improvvisando sulle circostanze date la mia scena di Cechov, percorrendo
una strada ed un'emozione ed un divertimento che ritengo siano alla base
del lavoro dell'attore, speravo di poter lavorare su questo esercizio con
quest'attrice e con Penn, ma non ne abbiamo avuto l'occasione, lei non
ha avuto il tempo di provare con me di più o forse non ha voluto.
Certo quella breve prova con lei ed anche il momento di studio fatto sul
mio monologo di Astrov per la signora che ci assisteva, erano stati momenti
e prove dei quali avrei voluto dividere le sensazioni con il Maestro, ma
io non ho avuto più il coraggio di chiederglielo. peggio per me.
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VI pomeriggio: C'è aria di festa e di tristezza, ancora
poche ore e tutto sarà già stato, è venerdì
ma sembra "Il sabato del villaggio".
Arrivato prima, mi organizzo per il mio momento privato, che provo
brevemente, poi mi rincantuccio vicino ad un termosifone e lì rimango
in attesa, come spettatore. Si susseguono molti esercizi alcuni più
avanzati altri ritornati in dietro. C'è festa e gioia.
La mia ex partner fa il proprio esercizio: è una messa in scena
con anche altri interpreti nella parte di clienti del bar nel quale si
svolge la scena, il cameriere ruba la scena a tutti, è attore che
mi appare molto versatile ed intimamente simpatico qualsiasi cosa faccia.
Vedo nell'attrice tutto quello che ho sempre visto durante il lavoro insieme,
agitazione ed un grande accumulo di gesti, facce e atti preordinati ma
che l'aiutano a trovare la strada. La sua nuova partner nel ruolo dell'amica
che non parla, osserva Penn, sta recitando una muta, ma il fatto che non
parli non significa che sia muta, sta anche recitando direttamente la fine
del testo. Le invita a riprovare senza tutta la baraonda degli altri interpreti,
la scena è di studio e riguarda la relazione delle due donne il
resto ora non serve. Lo scontro è tra una donna che ha una felice
vita familiare piena di interessi ed affetti, cose da fare, pensieri, e
l'amica che solo alla fine capirà che l'altra sa che lei è
l'amante di suo marito. Uno scontro tra una intensa generosità ed
una certa aridità, detto in rozzi soldoni. Questa seconda prova
vede la mia ex partner sviluppare un maggiore contatto e maggiore sicurezza
sebbene dica battute che improvvisa, ma ha avuto pochissimo tempo per provare,
e questo comunque l'aiuta, è ben più serena ed effettivamente
accade qualcosa, peccato che sia l'ultimo giorno e non possano lavorarci
ancora. Finito l'esercizio lei torna al suo posto con i complimenti affettuosi
di Penn, anch'io mi complimento e lei per la prima volta da tre settimane,
diversamente da come ha sempre fatto con me, dice che invece non è
stata brava e che non ha fatto nemmeno il minimo.
Domanda: Perché qui vede, sbagliando, che è appena all'inizio
e non è vero, ed invece con me si dichiarava tanto contenta di quel
niente che accadeva?
Mia ipotesi: Penn è stato capace di infonderle quella sicurezza
che ora le permette anche di criticarsi. Grande Penn. piccolissimo Federico.
Lezione finita!
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Grande applauso a Penn che si sottrae.
Grazie Penn per tutto quello che hai fatto per noi ed in particolare
per me. Ti sembra poco il trauma che mi hai fatto provare? Sorride, mi
stringe la mano e dice: e già il trauma!
~~~
Martone riunisce gli attori che hanno partecipato per fare due chiacchiere
su quel che è stato.
Molti, quasi tutti tranne due, esprimono il desiderio di continuare
a studiare il metodo, auspicano che il Teatro di Roma continui a promuovere
seminari sul "Metodo" perché tutti si trovi una lingua comune. Martone
ci pensa, ma sta promuovendo incontri con le più diverse realtà
ed esperienze teatrali. Cosa che ad un'attrice ed a me sembra la cosa migliore
e più interessante. Naturalmente il nome di Peter Brook è
sulla bocca di tutti, ma è difficilissimo riuscire ad ottenere degli
incontri con lui. Tutti ritornano ad insistere sull'importanza di continuare
con il "Metodo" di cui qui abbiamo avuto solo un saggio. Solo in due pensiamo
che sarebbe più opportuno continuare così come Martone ha
già impostato le cose, ma io non lo dico, quindi rimane una voce
isolata quella dell'attrice alla quale io rivolgo solo un segno di assenso
che non so se lei colga. Martone dice che si potrebbe continuare a lavorare
con quei registi che sono stati presenti tra il pubblico. Mi appare e credo
anche ad altri, un'idea e proposta eccellente. Dico che sebbene straordinaria
l'idea:
1) la presenza di quegli spettatori e non solo per me, ma anche per
altri a diverso livello è stata più un problema che un piacere,
trattandosi di un laboratorio e non di uno spettacolo.
2) Che mi è capitato mille volte di incontrare attori, registi,
sceneggiatori che per aver seguito un corso di sei giorni ritenevano di
essere depositari di un metodo di lavoro. Ciò ci riporterebbe alla
più vieta grossolanità.
Vengo interrotto e non riesco più a dire che il lavoro con i
giovani registi discontinuamente presenti al seminario, sarebbe comunque
importantissimo "Metodo" o non "Metodo", per sviluppare se non proprio
un linguaggio comune, almeno cominciare a comunicare gli uni con gli altri.
In America sono addirittura le Università, le scuole a mettere in
contatto gli allievi con i professionisti per sperimentarsi gli uni e per
rinfrescarsi gli altri, a New York mi è capitato molte volte, in
Italia mai. Spero che Martone proceda in questa sua proposta e mi permetta
di esserne parte.
Ultima considerazione: Rimango convinto che il "Metodo" sia una
gran cosa, ma che la grandezza di chi ce ne ha dato un esempio sia immensamente
più straordinaria. Come tutto nel mondo può essere usato
bene o male. Il Metodo non è l'unica lingua. E temo porti, sia pure
a risultati eccellenti, ma a nessuna delle altre infinite ipotesi che il
Teatro riserva a chi le voglia sperimentare. Certo qualunque strada si
intraprenda, ci vuole un'infinita disponibilità per percorrerla
ed un'intera vita di lavoro quotidiano.
Grazie infinite.
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